Spesso non è facile accostare vini superconcentrati, ricchi di corpo, colore, alcol, infatti, ci sono pochi caratteri da esaltare in certi Dolcetto di Dogliani o in supertuscan particolari. L’eccesso di biotecnologie utilizzate in cantina crea solo dei problemi a tavola. Inoltre si tratta in genere di vini molto barricati, in cui il boisè – ammesso che possa piacere – domina e sovrasta il piatto. Ricordo anni fa al ristorante Moderno di Carrù: giusta compagnia, in tavola, fumanti, bolliti del bue grasso, la cui succulenta e fragranza di sapori avevano nulla – proprio nulla – a che fare con il banale legnoso di un vino che oltretutto non abbiamo terminato.
Si stanno diffondendo due tendenze: Valutare l’aspetto cromatico e scegliere il vino di conseguenza: piatto bianco = vino bianco, piatto rosso = vino rosso. Inoltre si cercano abbinamenti territoriali tra cibo e vino, magari rispettando tradizioni locali. L’esempio sopra riportato della bagna caoda è un perfetto esempio. Spesso sono esemplificazioni, occorre sempre valutare tutto in senso critico.
Cadono molti divieti tra tavola e vino: restano – a mio avviso- off limits verdure crude, specie carciofi, insalata, finocchi, ovvero verdure ricche di ferro che si lega subito ai tannini, formaggi freschissimi con tendenza marcata al gusto latte, alcuni frutti, agrumi in particolare e soprattutto le preparazioni con aceto e quindi le numerose marinate. Con questi berremo acqua. Con la frutta, come detto occorre, molta cautela, ma con fragole, ciliegie, piccoli frutti di bosco uno spumante rosso, oppure un moscato rosa vanno abbastanza bene. Cautela, molta, con dolci e macedonie in cui prevale il liquore. Con il gelato di crema, nella calda estate, ho provato l’Asti. Ok! Provate anche voi. Per il cioccolato? Non acquistate il Pinot de Charente o Banlyus, in Italia si producono anche dei passiti da uve nere che vanno benissimo e se acquistate un Passito di Brachetto di valle Bagnario di Strevi o un Casorzo passito non sbagliate.
Per terminare un accenno alle varie cucine etniche, ormai sono una realtà in società sempre più globalizzata. I sapori sono molto articolati, confusi, sovrapposti e non sempre definibili. Sul concetto di piccante si sprecano i commenti: semplice esaltatore di gusti e aromi oppure un vero e proprio sapore. Da anni le varie associazioni di categoria accettano il quinto sapore elementare, ovvero “Umami”. Che cosa è realmente? I cuochi giapponesi che l’hanno diffuso, dicono sapore complesso e misto, tipo agrodolce, come molte ricette della vecchia Europa; altri lo fanno risalire semplicemente al gluammato sodico che dà sapore ai dadi industriali per uso culinario. Oggi si tende a definire “Umami” semplicemente un cibo molto, molto saporito in cui due più due non fa quattro, bensì cinque. Che vino sceglieremo allora? Sinceramente non mi sento di consigliare, ognuno scelga cosa vuole, basta che sia contento.
Seconda parte di:” Analisi sensoriale le poliedriche tematiche riguardo l’abbinamento cibo- vino”
Lorenzo Tablino
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